FERIE RESIDUE

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CALENDARIZZAZIONE DELLE FERIE NON FRUITE
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Datori di lavoro: smaltimento delle ferie dei dipendenti e sanzioni

 

Sempre più spesso i datori di lavoro, preoccupati d’incorrere in sanzioni, chiedono ai propri dipendenti di smaltire le ferie arretrate. È l’effetto delle modifiche di legge entrate in vigore qualche anno fa: prima il lavoratore che doveva consumare le settimane annuali di ferie nell’anno di maturazione poteva comunque scegliere di goderle negli anni successivi, o di ricevere in cambio una somma di denaro.

Oggi non solo non è più possibile la monetizzazione, ma sono cambiati anche i tempi entro cui godere del periodo di ferie retribuite:

 almeno due delle quattro settimane all’anno obbligatorie vanno godute consecutivamente durante l’anno stesso di maturazione,

 e le altre due (anche frazionate) nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.

 Salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro, il predetto periodo minimo di quattro settimane non potrà essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute. Ogni diverso accordo che non rispetti i termini di legge è nullo ex art. 36, co. 3, Cost. art. 1419 co. 2, c.c.


 Il datore di lavoro, inoltre, ha un termine per pagare i contributi sulle ferie, anche se non sono state godute. La scadenza dell’obbligo contributivo è fissata di norma al 18° mese dal termine dell’anno solare di maturazione delle ferie. 

La legge disciplina la maturazione, la durata minima, i termini di fruizione delle ferie e la retribuzione da corrispondere ai lavoratori durante le stesse, mentre il periodo di fruizione e le modalità di godimento vengono stabiliti generalmente dai datori di lavoro.

 Il datore di lavoro che non consente al lavoratore di fare le ferie entro i termini stabiliti è quindi punito con una sanzione amministrativa oltre a rischiare di risarcire il danno non patrimoniale cagionato al lavoratore.  

La sanzione viene applicata all’azienda per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisce la violazione, a meno che l’azienda non dimostri che la medesima è imputabile unicamente al lavoratore. È il caso, ad esempio, di lunghi periodi d’assenza dal luogo di lavoro per maternità, malattia o infortunio. L’autorità ispettiva può altresì obbligare il datore di lavoro a concedere il godimento delle ferie mediante la cd. prescrizione ad adempiere. La determinazione del periodo di fruizione delle ferie è stabilito dal datore di lavoro, il quale deve però tener conto sia delle esigenze dell’impresa sia degli interessi del lavoratore: è, cioè, obbligato a considerare le necessità personali, familiari o economiche del lavoratore, che a sua volta può chiedere le ferie in un periodo differente da quello indicato dall’azienda (principio che però non vale nel caso di chiusura aziendale obbligatoria).

 

Il datore di lavoro ha dunque l’obbligo di tener conto delle esigenze manifestate dal prestatore di lavoro, e di adottare decisioni secondo i principi generali di buona fede e correttezza. Ciò significa che l’eventuale rifiuto d’assecondare la richiesta del lavoratore deve essere comprovabile sulla base di chiare e ragionevoli esigenze aziendali. Queste regole trovano applicazione anche in quelle aziende in cui, per prassi, è il lavoratore a determinare il proprio periodo di ferie attraverso la presentazione di una richiesta poi validata dal datore di lavoro. L’eventuale inerzia del datore di lavoro nella comunicazione di un diverso periodo o nella validazione delle ferie richieste non autorizza iniziative unilaterali da parte del lavoratore, passibile di sanzione disciplinare se si assenta senza il consenso del datore di lavoro.

 

L’istituto delle ferie

Il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite costituisce un principio costituzionale, sancito dall’art. 36, comma terzo, Cost. Ita., che ne prescrive l’irrinunciabilità: “Il lavoratore ha diritto … a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

Il Codice Civile, all’art. 2109: “Il prestatore di lavoro ha … anche diritto … ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità”, contempla i seguenti tre principi:

  • le modalità di fruizione delle ferie sono stabilite dall’imprenditore, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro;
  • la durata delle ferie è stabilita dai contratti collettivi;
  • l'imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie;
  • il periodo di preavviso non può essere computato nelle ferie.

Detta disposizione è stata oggetto di una pluralità di giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale, la quale l’ha così interpretata:

  • le ferie maturano in costanza di rapporto di lavoro e non alla fine di ciascun anno di ininterrotto servizio (Corte cost., 10 maggio 1963, n. 66);
  • le ferie maturano anche nei confronti dei lavoratori assunti in prova e le stesse devono essere monetizzate in caso di recesso dal rapporto (Corte cost., 16 dicembre 1980, n. 189);
  • la malattia insorta durante il periodo di ferie ne interrompe il decorso nell’ipotesi in cui sia idonea ad incidere sul godimento al riposo ed alla rigenerazione delle energie psico fisiche del lavoratore (Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 616).

La disciplina dell’orario di lavoro è oggi contenuta nell’art. 10 del D.Lgs. n. 66/2003, (come modificato dal D.Lgs. n. 213/2004), successivamente al quale è stata emanata la Circolare del Ministero del Lavoro n. 8 del 3 marzo 2005. Il Decreto rappresenta l’attuazione alle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, i cui principi sono stati poi trasposti nella direttiva n. 2003/88/CE.

Considerata l’immediata e diretta derivazione dei principi nazionali in materia rispetto a quelli comunitari, giova sottolineare che, in ambito comunitario, il diritto alle ferie annuali retribuite costituisce “principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva stessa” (punto 43 della sentenza Bectu del 26.6.2001, C-173/99; punto 28 della sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging del 6.4.2006, C- 124/05; punto 29 della sentenza Merino Gomez del 18.3.2004, C – 342/01).

Sul punto, si tenga altresì presente che il riposo annuale costituisce diritto sociale fondamentale del lavoratore, sancito nella Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000, che, all’articolo 31.2. nell’ambito del diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, ha affermato il diritto di “ogni lavoratore” a ferie annuali retribuite.

L’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003 (come modificato dal D.Lgs. n. 213/2004)

L’istituto delle ferie e le relative modalità di fruizione sono oggi disciplinati dall’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003, il quale dispone: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109 del Codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione (comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)”.

La disposizione contempla i seguenti principi:

  • le modalità di concessione e di fruizione delle ferie continuano ad essere regolamentate dall’art. 2109 c.c.;
  • le quattro settimane del periodo annuale di ferie vanno godute, per almeno la metà, nell’anno di maturazione e per il residuo nei successivi 18 mesi dalla maturazione, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva di riferimento;
  • le due settimane di fruizione delle ferie maturate nell’anno corrente vanno godute consecutivamente in caso di richiesta del lavoratore;
  • le mancata fruizione delle ferie annuali, nel limite del periodo minimo legale, pari a quattro settimane, non può essere sostituita dalla relativa indennità (l’indennità sostitutiva delle ferie), se non al momento della cessazione del rapporto di lavoro;
  • i contratti collettivi possono prevedere periodi di ferie ulteriori a quello legale. Questi periodi possono essere fruiti in base a quanto esplicitato dal contratto collettivo e, quindi, in astratto, anche successivamente al 18° mese dalla maturazione;
  • l’indennità sostitutiva può essere riconosciuta in caso di mancata fruizione del periodo di ferie c.d. contrattuale, aggiuntivo della previsione legale;
  • il mancato riconoscimento del periodo di ferie, nei limiti della previsione legale, comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, in capo al datore di lavoro, da Euro 100 ad Euro 600; se, invece, la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni, la sanzione è da Euro 400 ad Euro 1.500; infine, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni, la sanzione amministrativa pecuniaria è da Euro 800 ad Euro 4.500 e non e' ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta.

*****

Il diritto alla fruizione delle ferie da parte del lavoratore – L’obbligazione, posta in capo al datore di lavoro, diretta a permettere la fruizione delle ferie maturate dal lavoratore – Il contemperamento fra le esigenze al riposo e quelle al regolare svolgimento dell’organizzazione aziendale.

Da quanto si è evidenziato emerge che il diritto alla fruizione delle ferie è imposto da norme imperative, anche di rilievo costituzionale, le quali sono finalizzate alla tutela della persona, della personalità e della dignità del lavoratore.

La finalità della fruizione del periodo di ferie è quella di consentire: il recupero delle energie psico–fisiche; la piena estrinsecazione della personalità del lavoratore durante il godimento del tempo libero; la tutela della salute, minacciata dallo svolgimento continuativo della prestazione lavorativa.

Dette finalità comportano l’esistenza di un’obbligazione, posta in capo al datore di lavoro, il quale, compatibilmente con le esigenze connesse con la propria organizzazione aziendale, è tenuto a consentire la fruizione delle ferie, nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003 sopra riportato, tenuto conto delle esigenze del lavoratore.

Il principio trova conferma nell’oramai sedimentata e costante giurisprudenza di legittimità, che sul punto afferma:

L'esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all'imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell'impresa; al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale, anche nell'ipotesi in cui un accordo sindacale o una prassi aziendale stabilisca - al solo fine di una corretta distribuzione dei periodi feriali - i tempi e le modalità di godimento delle ferie tra il personale di una determinata azienda” (Cass. 12-06-2001, n. 7951, in Lavoro giur. 2002, 56, con n. Ferrau', In tema di determinazione del periodo feriale).

Di qui discende: a) l’illegittimità della determinazione aziendale volta a stabilire “il periodo di godimento … allorché non venga salvaguardata la funzione fondamentale dell’istituto di consentire al lavoratore la reintegrazione delle energie psicofisiche” (Pret. Milano 16/11/96, est. Cincotti, in Riv. crit. dir. lav. 1997, 344, nella fattispecie, il Pretore ha ritenuto in contrasto con la funzione dell’istituto la fruizione di un solo giorno di ferie per disposizione del datore di lavoro in assenza delle effettive ragioni ostative all’accoglimento della diversa istanza formulata dal lavoratore); b) l’illegittima “determinazione unilaterale del periodo di godimento delle ferie da parte del datore di lavoro allorché non venga tenuto conto anche degli interessi dei lavoratori e non vi siano comprovate esigenze organizzative aziendali”(Pret. Milano 20-1-99, est. Cecconi, in Riv. crit. Dir. lav. 1999, 359).

*****

Il datore di lavoro, quindi, tenuti fermi i principi legali che informano la disciplina in esame, è tenuto (rectius, è obbligato), a consentire la fruizione del periodo ferie ai lavoratori, in quanto “debitore” dell’obbligo di sicurezza e di tutela della personalità e della salute psico fisica dei propri dipendenti, giusti il disposto dell’art. 2087 c.c.

In conseguenza di questa deduzione, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che il lavoro prestato nel periodo destinato alla fruizione delle ferie costituisce “lavoro prestato con violazione di norme a tutela del lavoratore”, rispetto al quale trova applicazione la tutela di cui all’art. 2126, comma 2, c.c., ai sensi del quale: “Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione” (Cass. civ., sez. lav., 21-08-2003, n. 12311, in Not. giur. lav., 2004, 61).

L’affermazione porta a ritenere che l’omessa fruizione delle ferie costituisca un inadempimento degli obblighi del datore di lavoro, la cui condotta vìola le disposizioni poste a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.

Non si dimentichi, infatti, la potenziale responsabilità in cui incorre il datore di lavoro inadempiente a detto obbligo, la cui violazione può ingenerare negative conseguenze sulla salute del lavoratore, da cui discende il seguente principio: “Va risarcito, secondo le regole della responsabilità contrattuale, il danno alla salute (nella specie, infarto cardiaco) derivante al lavoratore dall’eccessivo impegno lavorativo dovuto alla sostituzione di un collega protrattasi per lungo tempo, allo svolgimento di lavoro straordinario e festivo ed alla rinuncia al godimento delle ferie” (Cass. civ., sez. lav., 05-02-2000, n. 1307, in Lav. giur.,2000, 548, n. Mattace Raso);

“L’attività di collaborazione cui l’imprenditore è tenuto nei confronti dei lavoratori a norma dell’art. 2087 c.c. non si esaurisce nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge, ma si estende all’adozione di tutte le misure che si rivelino idonee a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore; ne consegue che anche il mancato adeguamento dell’organico aziendale (in quanto e se determinante un eccessivo carico di lavoro), nonché il mancato impedimento di un superlavoro eccedente - secondo le regole di comune esperienza - la normale tollerabilità, con conseguenti danni alla salute del lavoratore, costituisce violazione degli art. 42, 2º comma, cost. e 2087 c.c., e ciò anche quando l’eccessivo impegno sia frutto di una scelta del lavoratore (estrinsecantesi nell’accettazione di straordinario continuativo - ancorché contenuto nel c.d. monte ore massimo contrattuale - o nella rinuncia a periodi di ferie), atteso che il comportamento del lavoratore non esime il datore di lavoro dall’adottare tutte le misure idonee alla tutela dell’integrità fisico-psichica dei dipendenti, comprese quelle intese ad evitare l’eccessività di impegno da parte di soggetti in condizioni di subordinazione socio-economica” (Cass. civ., sez. lav., 01-09-1997, n. 8267).

Il principio giurisprudenziale dell’illegittima monetizzazione delle ferie arretrate

La presenza di un siffatto stringente obbligo datoriale, che impone la fruizione del periodo di ferie da parte dei lavoratori, nonché il principio costituzionale della irrinunciabilità delle ferie, ha portato la giurisprudenza, antecedente all’emanazione del D.Lgs. n. 66/2003, a ritenere illegittimo l’automatico riconoscimento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute.

La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha affermato:

  • la legittimità delle attribuzioni economiche sostitutive del diritto alle ferie solo nell’ipotesi di estinzione del diritto per impossibilità sopravvenuta (come nel caso di estinzione del rapporto per licenziamento legittimo, morte e dimissioni) (Cass. 25-09-2002, n. 13937, in Riv. it. dir. lav. 2003, 347, con n. Ludovico, Sul diritto alle ferie in caso di licenziamento legittimo);
  • la nullità - per contrasto con l'art. 36 Cost. - della clausola, individuale o collettiva che preveda, in sostituzione delle ferie, il pagamento di una indennità sostitutiva (Cass. 21-02-01, n. 2569, in Lavoro giur. 2001, pag. 549, con nota di Sgarbi, Fruizione tradiva delle ferie o indennizzo: sceglie il lavoratore).

Simile impostazione discende dal presupposto che, a seguito dell’inadempimento datoriale, il lavoratore ha, innanzitutto, diritto alla tutela in forma specifica, che si sostanzia nel diritto all’effettiva fruizione delle ferie non godute e che, di conseguenza, la tutela risarcitoria per equivalente può essere ammessa nell’ipotesi estrema in cui detta fruizione (rectius, il recupero delle ferie arretrate), non sia più possibile, in quanto eccessivamente onerosa per il datore di lavoro, o non risponda più alla finalità cui è preordinata a tutela del lavoratore (Cass. 21-03-01, n. 2569, in Arg. dir. lav. 2001, pag. 695).

Occorre evidenziare, sul punto, che la Suprema Corte, ha affermato un orientamento difforme a quello appena riportato: “In relazione alla funzione di recupero delle energie fisiche e psichiche da parte del lavoratore, le ferie annuali devono essere godute entro l'anno di lavoro e non successivamente; una volta decorso l'anno di competenza, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore di godere effettivamente delle ferie né può stabilire il periodo nel quale deve goderle ma è tenuto al risarcimento del danno” (Cass. 24-10-00, n. 13980, in Arg. dir. lav. 2001, pag. 699).

La mancata fruizione dell’integrale

periodo di ferie

Il principio sopra evidenziato deve essere ora interpretato al fine di rispondere ai seguenti quesiti: qual è la conseguenza dell’omessa fruizione delle ferie? Le ferie non fruite devono essere monetizzate? Il datore di lavoro può imporre unilateralmente il periodo di fruizione delle ferie rimanenti?

Al fine di poter compiutamente rispondere ai quesiti occorre tenere presente che, nei fatti, la mancata fruizione delle ferie può:

  • essere conseguenza dell’omessa richiesta del lavoratore finalizzata alla relativa fruizione;
  • derivare dal rifiuto opposto dal datore di lavoro alla fruizione delle ferie puntualmente richieste dal lavoratore;
  • discendere dal rifiuto opposto dal lavoratore alla fruizione delle ferie nei termini e nei modi proposti dal datore di lavoro.

A questa prima suddivisione delle ipotesi che, in concreto, possono verificarsi, occorre aggiungerne un’altra, relativa al periodo di ferie oggetto di mancata fruizione, suddivisione che è imposta dal tenore di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003.

Detta disposizione, infatti, prevede che il periodo di ferie annuali, pari a quattro settimane, può essere scisso in due “sottoperiodi” rappresentati:

  • dalle due settimane la cui fruizione, obbligatoriamente, tranne diversa previsione della contrattazione collettiva, deve avvenire nell’anno di competenza, anche in modo continuativo, se il lavoratore formula espressa richiesta in tal senso;
  • dalle ulteriori due settimane, da fruirsi sino ai 18 mesi successivi rispetto all’anno di maturazione, salvo diversa previsione contrattuale.

Nei casi caratterizzati dall’eccezionalità e dalla straordinarietà è possibile derogare all’obbligo di godimento infra-annuale delle ferie, così come affermato dalla Corte Costituzionale, con sentenza 19 dicembre 1990, n. 543.

Oltre a questi periodi, si è accennato, ve ne può essere anche uno ulteriore, di derivazione contrattual-collettiva, che si va ad aggiungere al periodo minimo legale.

La fruizione del primo periodo nel corso dell’anno di maturazione è obbligatoria e da essa non si può prescindere, in quanto costituisce un diritto insopprimibile del lavoratore, da cui discende la fruizione obbligatoria del riposo che può essere unilateralmente determinata dal lavoratore, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia omesso qualsiasi indicazione relativa alla fruizione entro l’anno di maturazione (il 31 dicembre).

Si tenga in conto, però, che la contrattazione collettiva ha un potere derogatorio rispetto all’obbligo di godimento infra-annuale delle prime due settimane di ferie. Tale interpretazione è confermata anche dalla Circolare n. 8 del 2005 emanata dal Ministero del Lavoro, secondo la quale l’art. 10 fisserebbe “un primo periodo, di almeno due settimane, da fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell'anno di maturazione, su richiesta del lavoratore.(…) La contrattazione collettiva e la specifica disciplina per le categorie di cui all'articolo 2 comma 2 possono disporre diversamente. Allo scadere di tale termine, se il lavoratore non ha goduto del periodo feriale di due settimane, il datore sarà passibile di sanzione”.

Sul punto, sempre la suddetta Circolare ministeriale, facendo proprio un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha interpretato il predetto potere derogatorio nel senso che lo stesso non può imporre la fruizione del periodo di ferie obbligatorio in termini tali da comportare “un eccessivo frazionamento e dilazionamento del periodo feriale in quanto inidoneo all’assolvimento del recupero delle energie psicofisiche e di cura delle relazioni affettive così come previsto dall’art. 36 Cost”.

La norma, pertanto, alla stregua della menzionata Circolare, deve quindi essere interpretata “nel senso che la contrattazione collettiva può anche ridurre il limite delle due settimane per cui è obbligatorio il godimento infra-annuale, purché tale riduzione non vanifichi la richiamata funzione dell’istituto feriale e sia occasionata da eccezionali esigenze di servizio o, comunque, da <esigenze aziendali serie>”.

Le restanti due settimane di ferie “legali” possono, invece, essere fruite su richiesta del lavoratore o del datore di lavoro nel rispetto dei normali principi di cui all’art. 2109 c.c.

Anche rispetto a tale “secondo” periodo di ferie, da fruirsi, per previsione legale, nei diciotto mesi successivi a quelli di maturazione, può essere adottata una diversa regolamentazione da parte della contrattazione collettiva.

Ciò è confermato dalla già menzionata Circolare Ministeriale, il cui contenuto è stato avallato dalla Risposta all’Istanza di Interpello, resa dal Ministero del Lavoro in data 18.10.2006, prot. n. 25/I/0004908, ad avviso della quale non paiono esservi dubbi circa la possibilità della contrattazione collettiva di derogare al tetto massimo dei 18 mesi per la fruizione delle settimane di ferie per le quali non vi è l’obbligo di godimento infra-annuale. Pertanto, il periodo sarà “da fruirsi anche in modo frazionato ma entro 18 mesi dal termine dell'anno di maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla contrattazione collettiva”.

È evidente, comunque, che la contrattazione non potrà rinviare il godimento delle stesse oltre un limite tale per cui la funzione delle stesse ne risulti snaturata.

Resta inteso che il datore di lavoro, qualora lo ritenga utile e necessario, per il lavoratore e per la regolare funzionalità della propria organizzazione aziendale, può disporre la fruizione dell’intero periodo di ferie annuale (quattro settimane, oltre a quanto previsto dalla contrattazione collettiva) nell’anno di maturazione.

Casistica:

a) La mancata fruizione delle ferie dipende dall’omessa richiesta proveniente da entrambe le parti.

In questa ipotesi, la mancata fruizione delle ferie discende da una situazione di fatto, connessa alla reciproca omessa richiesta finalizzata alla fruizione del periodo feriale, la quale, quindi, prescinde da un’espressa volontà tesa al diniego del diritto in esame.

Sul punto occorre precisare che l’omessa richiesta proveniente dal lavoratore, sia in merito alla fruizione delle ferie in corso di maturazione, sia relativamente alle ferie arretrate ancora oggetto di possibile fruizione (entro il 18° mese successivo all’anno di competenza), non può mai essere considerata una tacita rinuncia al godimento del relativo periodo.

Il principio trae conferma da quanto affermato dalla giurisprudenza, ad avviso della quale: “allorché il lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale e non chieda di goderne in altro periodo dell'anno non può desumersi alcuna rinuncia - che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 c.c.) - e quindi il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva delle ferie non godute (Cass. 12-06-2001, n. 7951, in Lavoro giur. 2002, pag. 56, con nota di Ferrau', In tema di determinazione del periodo feriale).

Nell’ipotesi in esame, nonostante che l’eventuale mancata fruizione del periodo di ferie nel lasso temporale di possibile godimento non sia ascrivibile al datore di lavoro, in capo al medesimo può essere ravvisato, comunque, un inadempimento, costituito dal non avere consentito (rectius, concesso) l’intera fruizione del periodo di riposo.

In questo caso, la giurisprudenza ha ritenuto che: “ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore una indennità sostitutiva del mancato periodo feriale. Una tale indennità presenta, per un verso, carattere risarcitorio nel senso che è idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene al cui soddisfacimento l'istituto delle ferie è destinato: il riposo, con recupero, delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l'opportunità di svolgere attività ricreative, e simili” (tra le molte, Cass. civ., sez. lav., 19-05-2003, n. 7836; Cass. 2 agosto 2000 n. 10173; 5 maggio 2000 n. 5624; 13 marzo 1997 n. 2231).

Questo principio, formatosi antecedentemente alla novella del 2003, deve essere attualizzato ed interpretato in linea con l’attuale normativa, la quale prescrive che l’indennità sostitutiva delle ferie debba essere riconosciuta solamente alla cessazione del rapporto di lavoro e non certo contestualmente alla scadenza del periodo entro il quale le ferie potevano essere fruite.

Sul punto, occorre precisare che, come chiarito dalla Circolare ministeriale n. 8/2005, il divieto di “monetizzare” il mancato godimento del periodo feriale opera esclusivamente per la quota di ferie maturate dal giorno dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 66/2003: “L’impossibilità di sostituire il godimento delle ferie con la corresponsione dell’indennità sostitutiva è operante per la quota di ferie maturata a partire dal giorno dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia dal 29 aprile 2003.

Di qui, fermo il diritto del lavoratore all’eventuale risarcimento del danno, il datore di lavoro sarà passibile della sanzione amministrativa ed il lavoratore potrà essere soddisfatto con la relativa indennità sostitutiva delle ferie al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

b) La mancata fruizione delle ferie dipende dal diniego opposto dal datore di lavoro alle richieste provenienti dal titolare del diritto.

In questa ipotesi la responsabilità alla mancata fruizione delle ferie è direttamente ascrivibile al datore di lavoro, il quale, è evidente, sarà tenuto al riconoscimento dell’indennità sostituiva delle ferie in favore del lavoratore, sarà tenuto al pagamento della sanzione amministrativa, sarà esposto ad una azione di risarcimento del danno da parte del lavoratore.

Sul punto, si consideri che la Suprema Corte ritiene che: “La mancata fruizione del diritto alle ferie annuali, ex art. 36, 3° comma, Cost., fa sorgere in capo ai lavoratori il diritto a percepire l'indennità sostitutiva delle ferie non godute, avente natura retributiva, oltre al risarcimento del danno per la lesione di un bene giuridico costituzionalmente garantito, e l'assenza, nel contratto collettivo di riferimento, di una clausola che disciplini formalmente l'indennità sostitutiva delle ferie non godute, non esclude il configurarsi del diritto all'indennità medesima (Cass. 09-11-2002, n. 15776, in Foro it. 2003, parte prima, 491).

c) La mancata fruizione delle ferie discende da una condotta, anche non volontaria, imputabile al lavoratore.

L’ipotesi, in concreto, può dar luogo a due diverse situazioni.

I) L’impossibilità di consentire la fruizione delle ferie nel corso dell’anno dipende da un fatto ascrivibile al lavoratore, fatto che, però, non sia riconducibile alla mancata volontà di fruire delle ferie.

Il classico esempio che integra la vicenda in esame è rappresentato da una lunga assenza del dipendente.

Il fatto presupposto dell’omesso rispetto dell’obbligo di fruizione del periodo di ferie è tale da non poter ingenerare, certamente, ripercussioni sanzionatorie in capo al datore di lavoro, il quale, afferma il Ministero del Lavoro (Risposta ad Interpello del 18.10.2006) “non può essere ritenuto responsabile per comportamenti che non siano riconducibili ad una condotta dolosa o colposa ex art. 3 della L. n. 689 del 1981”.

Pertanto, qualora il lavoratore si assenti per un periodo di tempo talmente lungo da rendere impossibile la fruizione infra-annuale delle due settimane di ferie, il datore di lavoro non potrà essere ritenuto responsabile.

A questo proposito la Circolare n. 8/2005 chiarisce che “nei casi di sospensione del rapporto di lavoro che rendano impossibile fruire delle ferie secondo il principio della infra-annualità, le stesse dovranno essere godute nel rispetto del principio dettato dall'art. 2109 cod. civ., espressamente richiamato nell'art. 10 del decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia «nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro»”.

È evidente dunque che, in queste circostanze, il riferimento all’art. 2109 c.c. opera esclusivamente nei casi in cui sia impossibile il godimento infra-annuale, mentre negli altri casi il datore di lavoro sarà tenuto a rispettare l’obbligo previsto dalla legge, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile.

A questo riguardo ha precisato il Ministero, con la stessa Circolare n. 8/2005: “nei casi di sospensione del rapporto di lavoro che rendano impossibile fruire delle ferie secondo il principio della infra-annualità (…) si dovrà evitare ogni applicazione "automatica" del principio della infra annualità laddove ciò risulti impossibile o troppo gravoso per l'organizzazione aziendale. Di conseguenza, anche sotto il profilo sanzionatorio, occorrerà valutare con attenzione ed equilibrio ogni singola situazione”.

Nell’ipotesi di un lavoratore che sia assente per undici mesi e tre settimane e rientri in azienda per l’ultima settimana dell’anno, il Ministero ha ritenuto che “In questo caso il datore dovrà obbligatoriamente concedere al lavoratore la rimanente settimana di ferie, mentre la parte per cui non è possibile il godimento infra-annuale dovrà essere accorpata alle due settimane ulteriori ed essere goduta appena possibile e comunque entro i 18 mesi successivi (o il diverso termine stabilito dalla contrattazione collettiva)”.

II) L’impossibilità di riconoscere la fruizione delle ferie discende da un’espressa rinuncia, formulata in tale senso dal lavoratore.

L’ipotesi in esame configura una responsabilità del lavoratore che, per una qualsiasi ragione, intende opporre il proprio diniego alla fruizione delle ferie, il cui godimento gli è espressamente richiesto dal datore di lavoro.

In questa ipotesi, certamente, il lavoratore non potrà continuare a beneficiare, né delle ferie arretrate non godute, e neppure della relativa indennità sostitutiva.

Questa conclusione appare ancor più valida e legittima considerando che, come ampiamente precisato, l’attuale legislazione condiziona la liquidazione della predetta indennità alla cessazione del rapporto di lavoro.

Se così è, è da escludersi che il datore di lavoro possa farsi carico delle conseguenze indotte da un’espressa manifestazione di volontà formulata dal lavoratore, il quale, liberamente, sceglie di non fruire, nell’arco temporale consentito dall’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003, del periodo di ferie maturando e/o maturato.

Di qui discende la seguente deduzione: “Il lavoratore che abbia accumulato ferie maturate in anni precedenti non decade mai dal relativo diritto, salvo che il datore di lavoro non provi un rifiuto del dipendente a goderne”. (Corte d'Appello Milano, in Riv. crit.dir.lav., 2002, 115, n. di Martignoni, Ferie pregresse e successione tra aziende sanitarie)

La rinunciabilità delle ferie non costituisce la violazione del principio costituzionale espresso dall’art. 36, comma 3, Cost., in quanto quel principio è finalizzato ad evitare che il prestatore di lavoro, soggetto debole del rapporto di lavoro, possa rinunciare al proprio diritto preventivamente alla maturazione delle ferie, e, quindi, pregiudicarsi il diritto al riposo, finalizzato alla tutela della sua persona e della sua personalità.

Tanto è vero che il principio della rinunciabilità delle ferie è stato espressamente avallato dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. lav., 15-02-2003, n. 2326), la quale ha affermato che: “l'irragionevole rifiuto del lavoratore di accettare ogni soluzione offerta dal datore di lavoro - in grado di contemperare il suo diritto al non lavoro retribuito con le esigenze di funzionalità aziendale - (costituisce l’)'elemento estintivo dello stesso diritto alle ferie e delle conseguenziali pretese risarcitorie in senso specifico o per equivalente” (così, anche, Cass., 19.10.2000, n. 13860; Cass., 3.8.2001, n. 10759; Cass., 21.5.2002, n. 7451).

Simile ipotesi e, quindi, la rinuncia alle ferie maturate, può verificarsi solo dopo che il datore di lavoro abbia posto in essere tutti gli utili strumenti affinché il lavoratore possa fruire del proprio diritto.

Una tipica forma attraverso la quale può ottenersi la fruizione delle ferie è quella della c.d. ferie forzate, con le quali il datore di lavoro impone ai propri dipendenti la fruizione delle ferie maturate.

Su questo aspetto occorre fare attenzione, in quanto: da un lato, può essere considerata legittima la condotta datoriale volta ad imporre la fruizione delle ferie correnti (c.d. infra-annuali); dall’altro, la medesima imposizione può risultare illegittima tutte le volte in cui abbia a riguardo un periodo feriale, corrente e pregresso, particolarmente rilevante.

Il datore di lavoro, infatti, deve uniformarsi al disposto dell’art. 2109 c.c. e, quindi, deve contemperare sia le esigenze organizzative sia le esigenze del lavoratore e della finalità sottesa alla fruizione del periodo di ferie (il recupero psico-fisico).

Maggiori saranno le alternative di fruizione del periodo feriale offerte al lavoratore, più evidente apparirà la correttezza e la buona fede sottesa alla condotta aziendale, dalla quale scaturisce, per contro, l’illegittimità del rifiuto opposto dal lavoratore.

Inoltre, la volontà datoriale di imporre la fruizione dell’intero periodo feriale maturato dal lavoratore, non può porsi in contrasto con il principio, sancito dall’art. 2103 c.c., norma, questa, in base alla quale, il lavoratore ha diritto di svolgere le proprie mansioni; ha altresì il diritto a non essere lasciato in condizioni di forzata inattività e senza assegnazione di compiti, ancorché retribuito.

La violazione di tale diritto comporta un’obbligazione risarcitoria a carico del datore di lavoro, tranne nelle ipotesi in cui lo stesso dimostri che la condotta sia derivata da una causa al medesimo non imputabile.

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